Il siddham o più precisamente siddhaṃ (sanscrito सिद्धं, "compiuto" o "perfezionato"; སིད་དྷཾ།; 悉曇文字S, Xītán wénziP; in giapponese 梵字?, bonji, 悉曇?, shittan; cinese medio (Baxter-Sagart): sit-dom mjun-dziH), noto anche nella sua forma evoluta successivamente come siddhamātṛkā,[1] è il nome di un alfabeto dell'India settentrionale usato per scrivere il sanscrito durante il periodo ca. 600-1200 d.C. Deriva dalla scrittura Brahmi attraverso la scrittura Gupta, che diede origine anche all'alfabeto devanagari come pure a numerose altre scritture asiatiche come l'alfabeto tibetano. C'è qualche confusione sull'ortografia: siddhāṃ e siddhaṃ sono entrambi comuni, ma la forma corretta è siddhaṃ. L'alfabeto è un affinamento di quello utilizzato durante l'impero Gupta indiano. Il nome derivò dalla pratica di scrivere la parola siddhaṃ, o siddhir astu ("che ci sia la perfezione") in testa ai documenti.
Il siddhaṃ è un'abugida o alfasillabario piuttosto che un alfabeto, perché ciascun carattere indica una sillaba, ma non include ogni possibile sillaba. Se non è presente nessun altro segno, allora si assume la "a" breve. I segni diacritici indicano le altre vocali, la nasale pura (anusvara) e la vocale aspirata (visarga). Un segno speciale (virama) può essere usato per indicare che la lettera sta da sola senza vocale, che accade a volte alla fine delle parole sanscrite. Vedi i collegamenti sotto per gli esempi.
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